Happy Halloween! Una traduzione dell’orrore per voi

Da Behind the curtain, Dietro la tenda, di Francis Stevens, che trovate pubblicato anche sul blog dell’Iguana editrice.

All’entrata si erigeva, aperta, un’antica bara dorata. Era il prezioso sarcofago di Ta-Nezem, ma colei che conteneva era molto più bella della povera, avvizzita, Cantora di Naam.

Attorno al suo petto erano allacciati gli strani gioielli caratteristici che erano stati trovati nel sarcofago. Gli amuleti di Ta-Nezem: le teste di Hathor e Horus occhio sacro, l’ureo, persino il pesante scarabeo verde spento, amuleto per la purezza di cuore. Riposavano sul seno di colei che era stata la signora della mia casa, adesso Beatrice l’osiriaca. Sotto di loro, il corpo bianco e rigido era avvolto nelle stesse secche bende di lino marrone che avevano avvolto il corpo di Ta-Nezem, impregnate di gomma e resine da imbalsamatori morti anch’essi da molte migliaia di anni.

Sul volto pallido faceva capolino il disco alato, simbolo di Ra. Lo sostenevano sinuosi corpi dorati di urei, cobra d’Egitto, che si perdevano nel crepuscolo dei suoi capelli, ancora vivi della morbida eleganza che così tanto più della nostra carne avrebbe vissuto.

Sì, avevo mantenuto la promessa e dato a Beatrice tutto quello che era stato di Ta-Nezem, anche il suo sarcofago, poiché nel mio testamento era scritto che sarebbe stata sepolta in esso quando sarebbe venuto il momento.

Come uno stupido, qual era, Quentin se ne stava lì, fermo, fissando gli occhi spalancati e freddi della mia Beatrice; era anche la sua. Rimase in piedi lì finché ciò che era dentro il vino non cominciò a farsi sentire. Quindi si girò verso di me, ma con uno sguardo di sorpresa così infantile e assurdo, che, malgrado la cortesia dovuta agli ospiti, iniziai a ridere come un pazzo.

Anche io cominciavo a sentire i primi spasmi, ma per me il dolore non era altro che un pegno, una misura delle sue sofferenze, uno stimolo a dirgli che sapevo tutto di lui e Beatrice, a fargli capire l’inganno.

Ma non avevo mai pensato che un uomo giovane e forte come Quentin potesse morire così facilmente. Beatrice, seppur fragile, ci aveva messo più tempo.

Non riuscì nemmeno ad attraversare la stanza per fermare la mia risata, che al primo passo inciampò, cadde e rimase lì sdraiato ai piedi della bara dorata.

Dopotutto non era forte come me. Beatrice aveva visto. I suoi immobili, freddi occhi avevano visto tutto. Il modo in cui era caduto, il suo corpo così bello e agile, contorto, inutile per qualsiasi fine, fino al momento in cui la sostanza non ne fosse stata gettata nuovamente nel miscuglio della dissoluzione, mentre io, che avevo bevuto dello stesso calice, sofferto degli stessi dolori, ancora ero in piedi e trovavo fiato per prendermi gioco di lui.

Così mi versai un altro bicchiere di quel buon vino di Cordova, lo dedicai a entrambi e lo prosciugai, ridendo.

Se volete sapere come finisce, fatemi un fischio…