Cos’è Halloween. La storia di Samhain

Halloween. All Hallows’s eve. La vigilia della festa di tutti i santi.
L’ultimo giorno dell’anno.

Non è sempre stata la festa dei cioccolatini a forma di zucca e dei dispetti porta a porta. Il giorno di Halloween come lo conosciamo ora sta al consumismo come Babbo Natale sta a quella famosa bevanda nera che non posso nominare. Ma c’è di più.

Samhain (pronunciato Sàuin) era una festa pagana, un giorno importantissimo per i celti. Una delle festività solari, quella che segnava l’inizio dell’inverno, l’inizio di un nuovo anno. Era l’esatto opposto di Beltane, la festa della vita, della fertilità, il primo giorno d’estate.
E il tema era, in effetti, la morte. La morte della natura, le ore di buio che superano quelle di luce, la caduta delle foglie, il rinnovo e il tempo del riposo dopo la fine del raccolto, che ricordava il riposo eterno.
Un modo per esorcizzarne la paura.

Si diceva che il velo tra il mondo dei morti e quello dei vivi, nella notte di Samhain, si assottigliasse e che gli spiriti fossero liberi di tornare nei luoghi dove avevano vissuto. Le strade erano illuminate da fiaccole e candele che mostravano ai morti la via per il ritorno nel loro mondo, Tír na nÓg, dove li aspettavano bellezza e giovinezza eterne. Si lasciava loro cibo sull’uscio di casa, perché potessero sfamarsi, e si compivano sacrifici rituali per tenere a bada eventuali spiriti maligni, che non decidessero di fare qualche “scherzetto” ai vivi (non esattamente del genere che fanno oggi i bambini se non vengono loro dati dolci, anche se è evidentemente questo il senso del famoso trick or treat).
E il rinnovo era segnalato dal rito del fuoco, che simboleggiava la luce. Nelle case, tutti i fuochi si spegnevano. I paesani si radunavano sulle colline, dove druidi e druide (sì, perché i popoli celti già secoli e secoli fa davano pari importanza, diritti e doveri a uomini e donne), le guide religiose e spirituali, accendevano un unico, grande, falò, quello del fuoco sacro. Insieme, nascosti sulle colline, si proteggevano così da fenomeni soprannaturali e spiriti, in alcune zone anche indossando maschere per ingannarli. Soltanto con la luce del sole i fuochi delle case si riaccendevano, attingendo direttamente dal fuoco sacro.

Quindi forse penserete che Halloween non c’entri niente con la nostra cultura, che non vada ricordato, che debba essere odiato come estraneo usurpatore delle nostre tradizioni. Ma non è proprio così. La verità è che anche i Romani avevano le feste dei morti, in giorni diversi, a maggio. La verità è che i Romani hanno poi deciso di spostare queste feste allo stesso giorno in cui le celebravano i celti, quello che cominciava con il crepuscolo del 31 ottobre e finiva con il crepuscolo del 1 novembre, Samhain appunto, e che solo più recentemente è stata istituita la festa di Ognissanti, da cui viene il nome moderno Halloween. Non che i romani siano i diretti discendenti di tutti coloro che hanno origini italiche, dopotutto. No, siamo tutti mischiati con celti, liguri, etruschi eccetera.
Ma anche se così non fosse, sarebbe bene ricordare che c’è bellezza nello scoprire la tradizione, nel conoscere la cultura, che sia la nostra o quella di qualcun altro. Perché c’è qualcosa di profondo e mistico nel ri-vivere le emozioni che sono state prima quelle di altri esseri umani, nel ripercorrere i passi che li hanno portati ad avere timori e riconoscenze, per riscoprirne l’innata saggezza, che è conoscenza della natura. Nella consapevolezza che tutti noi siamo uguali e non c’è nessuno, uomo o donna, che valga più di qualcun altro.


Trovate lo stesso racconto a questo link, sul blog dell’Iguana editrice, con cui collaboro.